Giocare a golf può anche causare infortuni: per professionisti e amatori ecco i consigli del dottor Giorgio Pivato, responsabile della Chirurgia della mano di Humanitas Cellini.

Giocare a golf può provocare infortuni?

Tutt’altro che impossibile: «In media, un giocatore professionista subisce due infortuni l’anno che lo obbligano a uno stop dell’attività agonistica di cinque settimane», conferma il dottor Giorgio Pivato, responsabile della Chirurgia della mano di Humanitas Cellini. Sul campo da golf s’infortunano i professionisti ma fanno altrettanto gli amatori: «Per loro, le cause più frequenti vanno ricercate nella scorretta meccanica nell’esecuzione dello “swing”, nell’allenamento troppo intenso o in eventi traumatici legati all’impatto accidentale con un ostacolo o il terreno», aggiunge il dottor Pivato.

Al giocatore di golf quali consigli dare affinché non esca dal “green” con una lesione alla mano, al polso o al gomito? La risposta è ancora del dottor Giorgio Pivato che, di seguito, elenca dieci consigli utili per non farsi male sul campo da golf:

  1. Assumi una postura corretta.
  2. Non irrigidirti: eviterai di trasferire tutta la potenza del gesto su un unico distretto corporeo.
  3. Affidati a un bravo maestro per imparare la giusta meccanica dello swing.
  4. Esegui sempre un adeguato riscaldamento.
  5. Parti piano e incrementa la pratica con il progredire della stagione.
  6. Utilizza la mazza corretta: impugnatura larga, “shaft” in graffite, testa con perimetro rinforzato.
  7. Pratica con costanza esercizi di “stretching” e rinforzo muscolare.
  8. Lavora per aumentare la resistenza.
  9. Presta attenzione a come sollevare la sacca.
  10. Utilizza sempre i guanti: migliorando il “grip”, ti servirà meno forza sull’impugnatura.

Il golf è una disciplina sportiva in continua espansione: nel 2016 ha fatto il suo ritorno ai Giochi olimpici e oggi sono circa 60 milioni i praticanti sparsi in tutto il mondo: «Sono anche aumentate le patologie legate a questo sport – continua il dottor Pivato -. È erroneo ritenere che lo “swing” sia un gesto fisico poco impegnativo: l’esecuzione di questo colpo comporta il coordinamento e la sincronizzazione di movimenti che coinvolgono tutto il corpo per consentire al bastone di imprimere alla palla velocità fino a 160 km/h e raggiungere distanze superiori ai 250 metri».

Oltre a quella della colonna vertebrale, le patologie più diffuse tra chi gioca a golf sono le tendiniti del polso (Morbo di De Quervain), le tendiniti del gomito (epicondilite) e la sindrome del tunnel carpale. Ma sono frequenti anche le fratture dell’uncino dell’uncinato, piccolo osso del polso che sporge verso il palmo della mano ed è particolarmente vulnerabile di fronte ai traumi diretti causati dall’impugnatura serrata della mazza da golf durante un impatto violento sul terreno o contro un ostacolo.

«I golfisti professionisti accusano per lo più patologie da “overuse” – specifica il dottor Pivato -, dovute a gesti tecnici effettuati con intensità e frequenze superiori alla resistenza dei tessuti o alla loro capacità di adattamento, all’uso di strumenti che trasmettono vibrazioni e all’adozione di posture scorrette». Anche l’età condiziona il tipo di lesione: «I giocatori più giovani vanno più frequentemente incontro a lesioni acute come strappamenti, distorsioni o fratture, mentre nei giocatori più avanti con gli anni i dolori sono generalmente dovuti all’aggravarsi di situazioni preesistenti come l’artrosi o le tendiniti».

Il corretto inquadramento diagnostico di questi problemi e la conseguente terapia devono essere eseguiti da medici che conoscano a fondo le patologie della mano e le dinamiche del golf: «L’esame clinico deve tenere conto delle caratteristiche anatomiche e biomeccaniche della mano – prosegue il dottor Pivato – ma non può prescindere dal considerare le modalità di insorgenza dei sintomi, il livello del giocatore e durante quale fase dello “swing” viene maggiormente percepito il dolore». Dopodiché potranno essere richiesti esami strumentali (una semplice radiografia o un’ecografia) o di secondo livello (risonanza magnetica, TAC o elettromiografia).

«I golfisti sono noti per tollerare oltremodo qualsiasi dolore purché nessuno li obblighi a prendersi una pausa dal gioco. Purtroppo, nella maggior parte dei casi questo “stoicismo” porta a una cronicizzazione dei processi infiammatori o, ancora peggio, a non riconoscere la presenza di una lesione ossea, tendinea o legamentosa – conclude il dottor Giorgio Pivato -. Il mio consiglio è quello di rivolgersi a uno specialista della mano quando il dolore perdura per oltre una settimana senza dare segni di miglioramento».