Ne hanno parlato a “Martedì Salute” quattro ortopedici di Humanitas Cellini specializzati nelle patologie dell’anca: il dottor Carlo Alberto Buratti, il dottor Frediano Boggio, il dottor Alberto Nicodemo e la dottoressa Manuela Barale. «Solo l’esperienza e la specificità della cura possono favorire una giusta diagnosi e terapia per il paziente».

«Nella Chirurgia d’anca, solo l’esperienza e la specificità della cura possono favorire una giusta diagnosi e terapia per il paziente». È questo il messaggio finale del “Martedì Salute” che lo scorso 26 novembre ha riunito all’Auditorium Città Metropolitana di Torino quattro ortopedici di Humanitas Cellini specializzati nelle patologie dell’anca: il dottor Carlo Alberto Buratti, responsabile della Chirurgia dell’anca della Clinica, il dottor Frediano Boggio, il dottor Alberto Nicodemo e la dottoressa Manuela Barale

«L’artrosi d’anca è una delle malattie delle articolazioni più comuni al mondo – ha esordito il dottor Frediano Boggio -. Consiste nell’usura della cartilagine articolare, colpisce la maggior parte delle persone che hanno superato i 65 anni di età e la sua prevalenza aumenta nel tempo, tanto che arriva a interessare l’80 per cento di chi ha superato i 75 anni». Nei paesi più sviluppati, questa patologia rappresenta la principale causa di invalidità cronica: «Può essere primaria o secondaria – ha continuato il dottor Boggio -, a seconda delle cause che possono essere sconosciute o conosciute». Ecco allora che l’artrosi d’anca primaria può essere frutto di una lesione metabolica, di microtraumi articolari o di processi infiammatori, mentre quella secondaria è dovuta a cause meccaniche (incongruenza articolare, sovraccarichi e altro), cause strutturali (coxite, necrosi, osteoporosi e altro) e cause traumatiche (fratture, lussazioni e latro). Quali sono i sintomi dell’artrosi d’anca? «Il dolore inguinale in fase di carico che si irradia e favorisce la zoppia – ha risposto il dottor Boggio -, nonché una progressiva diminuzione dell’articolarità, soprattutto in flessione e rotazione interna. Infine, una progressiva diminuzione dell’autonomia deambulatoria».

Della chirurgia d’anca ha parlato il dottor Alberto Nicodemo: «Le protesi non sono ancora eterne – ha premesso -, ma danno risultato ottimi che durano nel tempo». La chirurgia dell’anca è protesica quando sostituisce “il pezzo” usurato, ma può anche essere conservativa: «Mira alla prevenzione e al rallentamento dell’artrosi d’anca attraverso la correzione del difetto anatomico – ha spiegato il dottor Nicodemo -. Difetto che può riguardare le displasie femorali e acetabolari o il conflitto femoro-acetabolare, vale a dire il contatto tra il collo del femore e il bordo dell’acetabolo dovuto a un’anomala morfologia dell’anca». Quest’ultimo intervento è indicato per pazienti che non hanno ancora superato i 40/45 anni d’età e che riportano segni di artrosi nulli o appena all’inizio: «Si tratta di un intervento che non comporta né drenaggi né trasfusioni e che richiede una o due notti di degenza seguite da tre o quattro settimane di carico protetto», ha aggiunto. Per poi osservare che: «Il conflitto femoro-acetabolare rappresenta una delle principali cause di artrosi d’anca primaria: trattarlo correttamente con le giuste indicazioni può rallentare la progressione dell’artrosi migliorandone i sintomi e l’articolarità». Con un’avvertenza: «Parliamo di una patologia e di una chirurgia poco conosciute tra gli ortopedici – ha ammonito il dottor Nicodemo -, da ciò ne consegue una diagnosi che si rivela troppo spesso tardiva per consentire la chirurgia conservativa. Ecco perché è sempre opportuno rivolgersi a un chirurgo dell’anca che lavora in un Centro specializzato come quello di Humanitas Cellini».

Ma quando è necessario ricorrere alla protesi d’anca? Alla domanda ha risposto il dottor Carlo Alberto Buratti, elencando tre cause, tutte indipendenti dall’età del paziente: «Dolore invalidante, grave limitazione delle attività quotidiane, fallimento del trattamento conservativo». La protesi serve a eliminare il dolore, ripristinare la funzione dell’anca, ridurre i farmaci antalgici. Qui il dottor Buratti ha insistito sull’esperienza e capacità del chirurgo che deve affidarsi a una letteratura medica valida e aggiornata: «Affinché funzioni, una protesi deve essere impiantata correttamente, possedere determinate caratteristiche ed essere usata correttamente». Perché ciò accada, occorre seguire con precisione alcuni passaggi: «Intanto l’esame del paziente, della sua morfologia e dell’anatomia dell’anca – ha puntualizzato il dottor Buratti -. Poi una pianificazione pre-operatoria che tenga conto dell’esatta ricostruzione della geometria articolare e delle taglie della protesi, dopodiché diventa fondamentale individuare la giusta via d’accesso all’anca (postero-laterale, anteriore diretta o laterale)». Il dottor Buratti ha messo in guardia dalle “illusioni” che si trovano con facilità sul web e sui social network ricordando che la scelta dell’accesso è esclusiva del chirurgo: «Ciascun accesso ha vantaggi e svantaggi, ma non mostra nessuna differenza nel recupero clinico dopo tre mesi e nella ripresa delle attività quotidiane». Ecco che il chirurgo esperto con alto volume chirurgico deve utilizzare la via che meglio conosce: «Così si riducono tempi chirurgici e perdite ematiche, si minimizzano i rischi e le complicanze post e intra operatorie, si garantisce una corretta gestione dei tessuti, si accelera e migliora la possibilità di recupero clinico e funzionale del paziente». Le “certezze” del chirurgo risiedono quindi nelle evidenze che si costruiscono attraverso i dati dei registri protesici internazionali e dalla letteratura validata.

Alla dottoressa Manuela Barale è infine toccato il compito di illustrare il percorso clinico che attende il paziente di Humanitas Cellini alle prese con una protesi totale d’anca. «Si parte della visita ambulatoriale – ha detto la dottoressa Barale – che include la scelta terapeutica, la gestione della lista d’attesa e l’informazione al paziente». Stato di salute, qualità di vita, dolore e funzionalità sono elementi importanti nella scelta terapeutica: «Dolore e disabilità causati da patologia articolare degenerativa o infiammatoria rappresentano le indicazioni all’intervento», ha osservato. «Età, peso e fumo possono essere alcuni tra i fattori influenti sull’indicazioni all’intervento». Il livello d’urgenza dell’intervento è invece quello che determina la prenotazione e l’inserimento nella lista d’attesa, allo stesso tempo il paziente viene informato con un colloquio e un documento scritto («È fondamentale la sua partecipazione attiva alle scelte terapeutiche, noi dobbiamo fare di tutto per migliorarne la consapevolezza», ha aggiunto la dottoressa Barale). Il pre-ricovero rappresenta la fase successiva della presa in carico del paziente e, tra le altre cose, conduce al planning pre-operatorio che conduce poi al ricovero ordinario, fatto di pre-intervento, intervento chirurgico e post-intervento: «L’ultima fase è quella della riabilitazione funzionale – ha concluso la dottoressa Barale -: dura cinque giorni e conduce alla dimissione che viene seguita da un’altra fase riabilitativa da eseguire in un Centro specializzato, in ambulatorio o presso la propria abitazione».