“La tecnologia è in continua evoluzione, ma anche nel futuro le pratiche cliniche non possono prescindere dalla relazione con il paziente” spiega la dottoressa Anna Luisa Carmagnola, dermatologa di Humanitas Cellini.

Come pensa che la dermatologia cambierà nei prossimi anni?

«In questi anni stiamo assistendo all’evoluzione velocissima di tanti strumenti tecnologici. La microscopia confocale, ad esempio, è un esame diagnostico di ultima generazione per scovare in fase precoce lesioni della pelle, anche tumorali.
Si parla poi di “medicina virtuale” e telemedicina. In un mondo governato sempre di più dalle immagini, c’è il rischio di pensare che in dermatologia si possano fare diagnosi a distanza, magari con l’invio della foto di un neo scattata dal paziente. Sono convinta che con gli strumenti attuali questo non sia ancora fattibile: la visita dermatologica non consiste nel guardare una porzione di pelle, ma è fatta di uno sguardo a 360 gradi sul paziente, è fatta di tatto, di parole, di relazione».

Quali altre tecniche utilizza?

«I laser, presenti ormai da trent’anni, continuano a migliorare e sono sempre più specifici per ogni patologia. Io utilizzo un laser a diodo chirurgico per fotocoagulare le lesioni vascolari e per vaporizzare le lesioni superficiali benigne, come la cheratosi seborroica, l’angioma, il papilloma, il fibroma pendulo. I nevi dubbi si tolgono sempre a bisturi, ci tengo a sottolinearlo.
Mi occupo, poi, di terapia fotodinamica per i tumori dell’epitelio (Photodynamic therapy o PDT), che consiste nell’applicare sulle zone malate (campo di cancerizzazione) un farmaco che viene assorbito specificamente dalle cellule malate. Dopodiché una luce rossa con lunghezza d’onda 630 nanometri attiva il farmaco all’interno delle cellule, distruggendole, come una chemioterapia locale, mirata alle cellule malate».

Che consiglio darebbe agli studenti interessati alla dermatologia?

«Oltre al consiglio di studiare approfonditamente, ribadisco ai giovani medici che il paziente va guardato in toto, svestito e visitato nella sua globalità. Il medico ha bisogno di lasciarlo parlare, ascoltarlo con attenzione. A volte sono le intuizioni più bizzarre a condurre alla diagnosi corretta, come il paziente che porta le chiavi in tasca e a un certo punto contrae un eritema da contatto sulla coscia, per questo serve guardare il paziente con attenzione e anche con fantasia».