Sindrome metabolica? Dimagrire, mangiare in modo corretto e svolgere regolare attività fisica risulta di grande aiuto: «In questo modo si affronta una situazione clinica in grado di sviluppare diabete e patologie cardio e cerebrovascolari», spiega la dottoressa Marina Caccia dell’ambulatorio di Diabetologia di Humanitas Cellini.

«La sindrome metabolica? Dimagrire, mangiare in modo corretto e svolgere regolare attività fisica rappresentano le tre risposte migliori per combatterla in modo adeguato». La dottoressa Marina Caccia, specialista in Endocrinologia e Scienza dell’alimentazione, titolare dell’ambulatorio di Diabetologia di Humanitas Cellini, indica il comportamento virtuoso che in tre mosse può affrontare una situazione clinica in grado di sviluppare diabete e patologie anche gravi di natura cardio e cerebrovascolare.

Dottoressa Caccia, che cos’è la sindrome metabolica?

«È un agglomerato di imperfezioni: ipertensione arteriosa, alterazioni del quadro lipidico, obesità e resistenza all’insulina sono le più note e ricorrenti. Può anche rappresentare l’anticamera del diabete: avviene quando, dopo aver effettuato un super lavoro necessario a ovviare alla scarsa sensibilità dei recettori dell’insulina, il pancreas non riesce più a controllare la glicemia».

Perché il “lavoro straordinario” del pancreas produce sovrappeso?

«Una quota elevata di insulina nel sangue favorisce maggiore appetito e fa depositare, caratteristicamente attorno al girovita, il grasso viscerale, così definito perché coincide con il deposito di grasso in eccesso all’interno del corpo, attorno al fegato e a tutti i visceri. Il tessuto adiposo si comporta come un organo ormonale producendo fattori pro infiammatori: a volte basta perdere cinque chili per vedere scomparire dolori articolari a schiena, ginocchio o anca. Il merito, oltre che nella riduzione di peso, risiede nel miglioramento della sensibilità insulinica e della distribuzione dell’adipe che conducono alla riduzione dei fattori pro infiammatori».

Dimagrire è quindi un’importante pratica insulino-sensibilizzante. E a tavola? Qual è il giusto comportamento?

«Quello di adottare una corretta alimentazione che non sempre significa una dieta restrittiva. Talvolta più che perdere peso è necessario distribuire i carboidrati in modo da non stimolare il pancreas a produrre continuamente insulina. L’errore più comune è quello di mangiare carboidrati a pranzo e proteine a cena o viceversa. Invece i carboidrati vanno distribuiti in tutti i pasti in piccole quantità, con una suddivisione della quota glicidica che serve a mantenere la calma insulinica e impedire quel picco di insulinemia conseguente all’alto indice glicemico del pasto di soli carboidrati non accompagnati da proteine. Tre pasti al giorno con carboidrati accompagnati da un po’ di proteine e da tanta verdura, depositaria delle fibre che diminuiscono l’indice glicemico del pasto, rappresentano un circolo virtuoso che permette di evitare la continua stimolazione pancreatica. In assoluto, sarebbe meglio mangiare molto semplice: meno prodotti confezionati e più cose preparate da noi, uso abbondante di vegetali senza mai esagerare con le proteine animali, sostituibili dai legumi. E come dice la dieta mediterranea: viva la sobrietà e la stagionalità dei prodotti vegetali».

Magari accompagnando la giusta tavola a un’adeguata attività fisica?

«Certamente. L’attività fisica è molto importante. Lo dicono i diabetologi ma anche gli oncologi: la prevenzione dei tumori passa attraverso la prevenzione dell’infiammazione a bassa soglia. Serve alimentarsi bene ma anche muoversi: tre ore settimanali totali bastano, non importa se tre volte da un’ora o sei volte da mezzora. Vanno bene anche attività quali il anche giardinaggio o portare fuori il cane: muoversi di buon passo è metabolicamente efficace. Inoltre, camminare all’aperto fa anche bene all’umore e consente di recuperare quell’attività spontanea che tutti noi dovremmo avere».

Anche perché, se trascurata, la sindrome metabolica può produrre complicanze piuttosto gravi.

«Comprende diversi fattori di rischio che vanno a rappresentarne uno unico e importante per la patologia aterosclerotica. Oggi nel mondo occidentale la malattia cardiovascolare rappresenta la prima causa di morte: identificare tutti i fattori di rischio, correggerli rapidamente e precocemente significa fare una corretta prevenzione».

L’uricemia alta può essere considerata un “nuovo” fattore di rischio?

«Sta sicuramente diventando una componente significativa di molte malattie metaboiche. Una volta la si collegava solo alla gotta, considerata la malattia dei ricchi. Ora si sta diffondendo per via di un’eccessiva alimentazione in rapporto a ciò di cui si ha bisogno. Basterebbe ridurre la quantità di cibo per vederla scendere. Al tempo stesso è opportuno fare attenzione a prodotti di sintesi come il fruttosio, presente nei dolcificanti e nei prodotti da forno presenti al supermercato, che contribuiscono a farla aumentare in modo pericoloso».